E’ una nottata frizzante e ricca di eventi, per la città. Un byte qualunque, uscendo dalla sua locazione di memoria – sospinto dal bus di trasmissione – l’avrebbe capito immediatamente. E’ come se nell’aria ci fosse uno strano fermento, una specie di energia capace di spingere tutti all’euforia. I locali erano agitati da spettacoli musicali di ogni tipo, dal rock al jazz, fino a melodie più ricercate eseguite da artisti di nicchia che intrattenevano il loro pubblico. Ciascuno dei byte poteva trovare tranquillamente il suo envinronment preferito: bastava lasciarsi trasportare dal battito del clock ed il gioco era fatto.
In uno dei tanti locali c’era stato un ritrovo di vecchi amici che, tra un boccale di sprite e l’altro, si erano raccontati con un velo di malinconia i tempi che furono. Nessuno di loro era davvero troppo vecchio, ma il loro lifetime era comunque sufficientemente ampio da far comparire stream di capelli bianchi sulle loro chiome. I più anziani venivano da vecchie console 8-bit degli anni ‘90, la cui potenza di calcolo era appena sufficiente per soddisfare le esigenze dei videogame dell’epoca, mentre i più giovani erano nati su sistemi più recenti. Uno di loro si vantava addirittura di non essere stato ancora shutdownato neppure una volta; pivello, lo definivano gli altri. Una delle fasi più importanti per la crescita di un byte è proprio quella di capire se si è un byte persistente oppure transiente. Se vivi al sicuro su un hard-disk – e quindi in grado di sopravvivere tra una sessione di lavoro e l’altra – oppure in forma più volatile allocato in memoria RAM. E questo lo puoi capire solo attraverso un processo di shutdown. Chi non lo aveva ancora capito era un pivello.
Il locale del ritrovo, il Buffer, si trovava in un array di byte, in una posizione defilata del file di swap del sistema operativo, ed era stato scelto proprio per la sua location di memoria. Grazie all’elevato livello di entropia del file .swp, i byte potevano spostarsi al suo interno senza disturbare più di tanto le celle adiacenti tenute sotto stretta sorveglianza dall’OS. Man mano che passava il tempo, i partecipanti al ritrovo tornavano nelle loro celle. Il Task Scheduler del sistema operativo era inesorabile, e consultandolo ogni byte poteva sapere quali compiti lo aspettavano il giorno dopo. Byte[739082] era stato assegnato ad un file batch non meglio identificato. Byte[90824293] sapeva che avrebbe dovuto prendere vita nel processo “SearchIndexer.exe”, e lo aspettavano montagne e montagne di file e di directory da indicizzare. Ogni byte – in un sistema che si rispetti – sa chi è e sa che cosa ci si aspetta da lui.
Alla fine rimasero solo in due, il byte ed un ammasso di classi partial. Si salutarono brindando un’ultima volta, svuotarono i bicchieri fino in fondo, poi ciascuno prese la sua strada.
Il byte uscì dal locale, felice di quella rimpatriata, ed imboccò la direzione più rapida per raggiungere il bus PCI Express che l’avrebbe condotto in pochi istanti a casa. Percorse un tratto di strada di buona lena, cadenzando il suo passo con il battito del clock per rispettare le normative vigenti. Meglio non ficcarsi nei guai a quell’ora.
Il byte non poteva sapere che sarebbero stati i guai ad andare alla sua ricerca. Girò per entrare in un vicolo buio e scuro, ai cui lati erano ammassati frammenti di memoria, messi qua e là in mezzo a sporcizia di ogni tipo. Di sicuro il Garbage Collector non passava da lì da un bel po’.
Fu allora che vide gli Spettri.
Comparvero alle sue spalle, uscendo dalle pareti, trascinandosi lentamente come fantasmi in grado di attraversare le superfici solide. Erano figure evanescenti di ogni tipo, umanoidi e non. Erano decine e decine, e si fecero largo uno alla volta fino ad occupare tutto il vicolo. Poi si voltarono verso il byte, che era rimasto pietrificato dalla visione, al punto che non riusciva a capire se si trattasse di realtà o di un brutto incubo. Non seppe cosa fare. L’istinto gli stava suggerendo di uscire dal vicolo e di darsela a gambe, dimenticando quegli esseri inquietanti. Ma qualcosa lo trattenne, e non potè fare a meno che osservarli, lottando con tutte le sue forze per rimanere lucido.
C’era un marine, armato fino ai denti, imbottito in un’uniforme da guerra tutta ammaccata. Sul casco era riportata la dicitura UAC, e questo non lasciava dubbi sulla sua origine.
C’era un tale che aveva tutta l’aria di essere uno scienziato. Un tizio piuttosto magro, che indossava soltanto una tuta lacerata ed un paio di occhiali da professore, su cui capeggiava quello che sembrava essere il suo nome: Gordon Freeman.
Poco più indietro, seduta a terra mentre consultava un’antica pergamena, c’era una giovane ragazza dalle forme prosperose, e non faceva nulla per nasconderle. Se ne andava in giro in un posto come quello indossando una semplice canottiera celeste, e shorts che mettevano in bella mostra le sue gambe. Era tutta concentrata a decifrare un simbolo che aveva un qualcosa di religioso, e non si curava di nient’altro.
C’erano membri di una sorta di famiglia reale fantasy, riconoscibili per il loro vestiario sgargiante.
C’era una bambina dai lunghi capelli neri, che in modo timido si guardava le mani senza avere il coraggio di alzare lo sguardo verso il byte o gli altri. Che fosse Alma?
C’erano altri uomini, altre donne, un androide scheletrico con al posto degli occhi due lampadine rosse.
Oltre a tutti questi personaggi, ce n’erano altri di statura più piccola. C’erano folletti e creature di varie specie. Chi strisciava, chi saltellava, chi svolazzava freneticamente. C’erano piccoli draghi, viscidi serpentelli sputafuoco, ed altri esseri a cui il byte non seppe dare un nome. C’era chi era silenzioso, e invece chi non poteva fare a meno di respirare rumorosamente.
Era un’accozzaglia di personaggi di ogni tipo, usciti in modo spettrale da chissà dove.
Ma il byte notò – nonostante il suo stato mentale alterato – che c’era qualcosa che non quadrava affatto, qualcosa di insano e di innaturale, che lo inquietava ancora di più. Quando ne fu cosciente provò una strana sensazione di terrore, un formicolio che fece tremolare la composizione di bit che lo rendevano vivo. Rimase in silenzio, e non seppe cosa fare.
Tutti quegli esseri erano emaciati ed in qualche modo perverso, anche deperiti. Erano apparsi tutti in una scala di grigi povera, con un canale alpha dai valori elevati. Il marine sembrava l’ombra di ciò che fu un tempo; sembrava debole, e non aveva affatto l’aspetto di una persona forte ed indistruttibile. Anzi, teneva le spalle ricurve su se stesso. Se il byte avesse potuto guardarlo per un attimo negli occhi, avrebbe notato che era sull’orlo di una crisi di pianto. La ragazza, nonostante il fisico impetuoso, mostrava un’età più avanzata di quella che aveva in realtà. E sembrava isterica, continuava a sistemarsi nervosamente la coda di cavallo. Grattava la pergamena continuamente con l’unghia, come se tentasse di estrarne la verità violentando la carta, per cui invece avrebbe dovuto avere soltanto rispetto. La bambina, che lui aveva battezzato Alma, sembrava la classica protagonista di un videogame horror, una di quelle dall’aspetto inquietante, disegnate appositamente per atterrire il giocatore. Teneva la testa bassa, con i capelli che nascondevano in parte il volto pallido.
Di fronte a quell’orda di creature, il byte non ebbe altra reazione se non quella di parlare.
– Chi siete? Cosa volete da me?
Prima che qualcuno rispose, passò molto tempo. Tra la folla di esseri decadenti si fece largo un mago con addosso una tunica rossa. Nella mano destra impugnava un bastone di quercia decorato con rune e simboli arcaici luminescenti. In condizioni normali sarebbe stato alto ed imponente. Adesso era davvero molto vecchio, ed era quasi trasparente. Persino il bastone sembrava sul punto di spezzarsi da un momento all’altro; era annerito, marcio e ad ogni passo che il mago faceva verso il byte, si piegava cigolando un poco. Come se si fosse autoproclamato portavoce del gruppo di creature, il mago si portò davanti a tutti, fino a raggiungere il byte.
– Siamo gli Spettri
La voce non era una sola. Era una cacofonia di voci, come se insieme al mago stessero parlando anche tutti gli altri, che però non si erano mossi di un millimetro.
– Siamo Giochi Incompleti, Giochi in disuso, Giochi Abbandonati. Siamo personaggi che i Creativi hanno abbandonati nei loro mondi, immersi nelle loro esperienze. Siamo maghi senza più un briciolo di magia, siamo un’archeologa perennemente braccata dai suoi nemici. Siamo un marine con una guerra da vincere freezata nel tempo, siamo draghi dal soffio di fuoco congelato. Siamo principesse che non verranno mai salvate, siamo gare di rally senza un vincitore. Siamo bambini senza le loro madri. Siamo palline da golf sospese in aria, senza mai sapere se saremo un par o un birdie. Siamo flotte interstellari alla deriva nello spazio profondo. Siamo esseri condannati, di ogni tipo, forma e colore.
Un respiro, un lungo istante. Un istante in cui il byte forse cominciò a capire.
– Tutte le volte che il creativo comincia un nuovo gioco, lo deve portare a termine. Altrimenti rimarremo intrappolati per sempre. Diventiamo personaggi senza scopo, esseri senzienti che vagano nel sistema senza una meta, costretti a vivere a metà, in un mondo a metà strada tra la nostra realtà virtuale e l’incubo costante. Ed alla fine diventiamo Spettri.
– Come posso aiutarvi? Cosa posso fare per voi?
In quel momento un urlo fece trasalire il byte. Fu la ragazza – probabilmente l’archeologa – ad emetterlo. Fu un grido di frustrazione, probabilmente la pergamena metteva a dura prova le sue conoscenze di lingue antiche. O forse era altro. Forse era solo la profonda disperazione per la sua condizione. Ma le voci, guidata da quello del mago, riportarono il byte alla realtà.
– Oh, sei gentile a chiederlo. Ma non puoi fare nulla. Solo il Creativo può salvarci. Deve riportarci in vita, o disinstallarci definitivamente. In queste condizioni siamo tecnicamente vivi, ma non ci sentiamo affatto come tali. Guardaci. Preferiremmo morire. Preferiremmo essere lasciati andare liberamente, e decidere del nostro destino, e di non essere imprigionati quaggiù.
– Ma allora perchè mi siete apparsi? Cosa volete che io faccia?
Di nuovo il mago attese un attimo prima di rispondere, come se avesse bisogno di pensarci.
– Oh, ecco la domanda più importante di tutte. Cosa vogliamo da te? Vogliamo divorarti, assaporarti fino all’ultimo bit. Vogliamo accedere alla tua linfa vitale, e dopo di te, divorare un altro byte, e poi un altro ancora, uno alla volta, fino a conquistare l’intero sistema. Ci sono trilioni e trilioni di byte, in questo hardware. Saranno tutti nostri. Diventeranno tutti Spettri, vagheremo tutti assieme in questo oblio fatto di dannazione.
Poi i volti si fecero famelici. Tutti, dal primo all’ultimo, alzarono lo sguardo vacuo, ed aprirono le loro bocche, mostrando denti piccoli ma aguzzi e deturpando il loro volto in una maschera. Divennero mostri a tutti gli effetti, e cominciarono ad avvicinarsi al byte, trascinando un passo dopo l’altro. Non mostrarono alcuna fretta, come se quello del byte fosse un ineluttabile destino già segnato, dal quale non poteva scappare.
Il byte si riprese ed in un attimo indietreggiò. Guardando dietro di sè, vide che nulla gli impediva di scappare via da quel posto. Ed infatti fece ciò che gli suggeriva l’istinto. Si voltò e se la diede a gambe, cercando di allontanarsi il più possibile da quelle creature. Raggiunse la fine del vicolo, dal lato opposto rispetto a quello da cui si trovava il Buffer. Tornò alla sicurezza della luce dei lampioni digitali che, con il loro bagliore vagamente #FFFFFF, lo avevano tranquillizzato un pochino. La gente che camminava sulla strada principale era poca, ciò nonostante c’era ancora qualcuno che si divertiva e che teneva fra le mani il suo drink, incurante degli esseri immondi che vivevano (o tentavano di farlo) a pochi passi da loro.
Prese un po’ di coraggio, cercando di dimenticare, scese le scale per entrare nel metrobus, così come aveva pensato di fare fin dall’inizio, ed in pochi attimi era al sicuro nella sua locazione di memoria, in uno dei registri della CPU. Si chiese dove fossero adesso gli Spettri, chi stessero divorando. Ci mise molto a prendere sonno, e fu comunque un sonno agitato e pieno di incubi.
Al suo risveglio, c’era stato un nuovo boot del sistema, ed il clock scaldava il pavimento vibrante.
Al prossimo ritrovo fra amici avrebbe avuto una storia in più da raccontare.