Technology Experience

Autore: Igor Damiani

My daily work

San Valentino in trasferta

Esci dal cliente alle 17:30, prendi il pullman che ti riporta in hotel. Entri in camera, metti sotto carica il cellulare, ti rilassi un’oretta, poi esci per cena. Sei solo, in trasferta, e realizzi solo ora che è la sera di San Valentino. Cosa significa questo?

Significa che tutti i ristoranti hanno solo tavolini per due, sono tutti prenotati, hanno tutti un cuoricino come addobbo. Sei in città, gironzoli a vuoto per il centro storico, serpeggiando per viuzze strette e larghe. Cominci ad optare per una piadineria, per una rosticceria qualsiasi, alla ricerca di un trancio di pizza o qualcosa di simile. Ti fai aiutare da Trip Advisor e da Google Maps. Tu passeggi solo sempre più affamato, mentre pian piano arriva l’ora delle coppiette che raggiungono il loro tavolino nel ristorante in cui hanno prenotato per questa sera (speciale?). Le vedi arrivare verso di te: lui e lei che si tengono stretti, le ragazze tutte vestite carine, i ragazzi tutti bellocci. Le ragazze con gonnelline svolazzanti o pantaloni neri lunghi. I ragazzi con cappotti col bavero alzato. Le ragazze truccate alla perfezione. I ragazzi con tutti i capelli ben pettinati. Tacchi e mocassini.

E a te manca lei, che è a centinaia di chilometri di distanza. E faresti carte false per averla lì con te. Per poterla baciare, abbracciare, per poter sentire la sua voce o la sua risata. Ed invece non c’è, se non nel tuo cuore. Ma non basta. Passeggi e cammini. Passi davanti a piadinerie e rosticcerie che ci sono, ma che sono deserte, comprese le teglie che dovrebbero invece ospitare tranci di pizze margherite o piadine con fontina e prosciutto. Tiri dritto, e ritorni pian piano verso il tuo hotel.

Ed eccolo lì, a poche decine di metri, il posto che cercavi. Una pizzeria da asporto aperta, illuminata, piena di gente come te che la sera di questo San Valentino è in trasferta, è in una città che non è la sua. Entri, ordini qualcosa, bevi una coca. Sei pieno e sazio. Il tuo stomaco è pieno e sazio, solo quello. Il tuo cuore rimane triste e solo, ma non ci puoi fare nulla.

Ciao San Valentino, all’anno prossimo!!

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Community

Il conato di vomito dei social network

I social network stanno fallendo su tutti i fronti. Lasciate che vi faccia un riassunto di tante piccole storielle, che probabilmente tutti voi avete sentito, oppure no.

Da una parte c’è il professor Roberto Burioni, che lotta tutti i giorni contro i movimenti anti-vaccinisti, con tutte le polemiche del caso. E’ di qualche giorno fa la notizia che un suo post su Facebook è stato bannato, probabilmente segnalato in massa da un gruppo di persone per i suoi contenuti. Facebook ovviamente non può mettersi a leggere tutti i post che vengono pubblicati ogni secondo, per cui va per numero: se un post viene segnalato da un po’ di persone, viene automaticamente rimosso. Pazzesco. Peccato che dopo un certo numero di post rimossi, probabilmente potrebbe venir bloccato l’intero account.

Da un’altra parte c’è l’inevitabile esito di ogni discussione sui social. Indipendentemente dall’argomento (referendum del 4 dicembre, l’ultimo film di Star Wars, la marca degli hard-disk che compriamo, una ricetta, un qualsiasi evento sportivo, etc.), inevitabilmente la discussione degenera, va oltre i propri confini, diventa quella che io definisco – anche nella mia vita privata – una gara di scherma. Dove devi stare attento a come ti muovi, sennò il tuo interlocutore ti tocca facendo punto, e tu a tua volta devi usare sarcasmo/sagacia/cattiveria per segnare il tuo punto. Bleah. La litigata avviene sempre, per argomenti futili ed argomenti più complessi. Ognuno crede di sapere la verità, compreso me. In base all’argomento, ognuno ha nel proprio passato inevitabilmente condotto la propria battaglia contro i suoi mulini a vento. Un redattore di The Games Machine è stato insultato per aver scritto un articolo contro la pirateria dei videogiochi. Io mi sono preso del razzista, dell’immaturo, dell’idiota, tra l’altro da persone che mai e poi mai si permetterebbero di dire quelle cose dal vivo. Quelle stesse persone, dal vivo, sono squisite, molto più intelligenti e preparate di me, verso le quali nutro sincero rispetto. E’ lo strumento social che le trasforma, così come trasforma me.

Altro? Ogni giorno, grazie ai social, ci sono vittime di cyberbullismo. E, per favore, non fate paragoni con il bullismo tradizionale che esisteva 25 o 30 anni fa. Una volta quando avevi a che fare con il bullo della tua scuola, era una faccenda tra te e lui. Il più delle volte, tra te ed un gruppo di bulli. Alla fine uno aveva la meglio, o la peggio, ma la cosa era comunque circoscritta. Oggi tutto viene ripreso in diretta, filmato, buttato su Whatsapp, su Facebook. E la vittima è segnata a vita. Ci sono storie recenti di ragazzi e ragazze che si sono suicidate, per ragioni di questo tipo. Se sottovalutate il cyberbullismo odierno al grido di “il bullismo c’è sempre stato” manifestate una certa ignoranza, e comunque un certo distacco dal mondo non solo giovanile di oggi.

Di nuovo: è notizia di qualche giorno fa che Twitter vuole dare la caccia e chiudere gli account fake. Tanti di questi account sono simpatici, divertenti, irriverenti. Ma non è semplicemente una cosa giusta che ci siano. Dietro all’anonimato si nascondono anche insidie e pericoli. Ci siamo costruiti (mi ci metto in mezzo) un mondo digitale basato sull’anonimato, che oggi però è più pericoloso che altro. No: se tu vuoi stare in Rete, devi farlo con il tuo nome & cognome. E’ finita la pacchia. Vi rendete sì o no conto che l’elezione di Trump – solo per citare un fatto recente – potrebbe essere stata favorita dalla diffusione di notizie fake populiste? Se non è pericolo questo…non riesco a capire cosa possa esserlo.

E facciamo un altro esempio. Conoscete tutti Charlie Hebdo, il noto periodico settimanale satirico francese, venuto un po’ alla ribalta per gli attentati del Gennaio 2015; il loro account Twitter è @Charlie_Hebdo_. Capita a volte che facciano vignette anche dedicate a qualche evento italiano (il recente terremoto, per esempio). Supponiamo che 1.000 italiani si mettano a segnalare a Twitter che quell’account vada chiuso perchè offende, è fuori luogo, è offensivo. Cosa fa Twitter? Probabilmente, ed automaticamente, chiuderebbe o sospenderebbe l’account, esattamente come ha fatto Facebook con il post del professor Burioni. Vi sembra corretto? Io una mia risposta ce l’ho, ma mi piacerebbe che anche voi ci pensaste un attimino.

Un altro gravissimo aspetto è che sempre più l’informazione giornalistica viene veicolata attraverso i social. Politica, attualità, scienza, medicina, tutto il resto. Un giorno, mentre ero in auto, su Radio 24 hanno detto che sempre più italiani utilizzano i social per informarsi. Ed è una cosa incredibile. Attenzione, faccio un mea-culpa: anche io ho utilizzato i social (Facebook) per fare informazione, nel mio piccolo. Questo per dire che non è colpa di qualcuno di preciso, è colpa di tutti, è colpa dell’andazzo delle cose, è colpa dell’invasività di questi strumenti. Da una parte c’è sì il grande vantaggio dell’enorme visibilità, ma dall’altra c’è la grande carenza di distinguere tra il vero ed il falso, c’è il problema delle discussioni, c’è tutto quello che ho descritto prima che non funziona. Ognuno di noi concepisce la partecipazione sui social in modo differente: c’è chi lo prende per un gioco, c’è chi lo prende per qualcosa di più serio. C’è chi lo utilizza come strumento di indignazione (della durata di 10 minuti), e c’è invece chi lo utilizza per le proprie campagne di sensibilizzazione.

Un problema insito nei social è che c’è una probabilità altissima di parlare con persone del tutto ignote, dall’altra parte d’Italia se non del mondo. Persone di cui non si conosce nulla: il contesto in cui vivono, che lavoro fanno, come ragionano, chi sono e chi non sono. E spesso ci si prende il diritto di giudicarle, di parlare con loro come se fossero vicini di casa, mentre in realtà non è affatto così. Per citare il mio amico Marco, socio di Piloti Virtuali ItalianiIl problema, Igor, è che fin dall’inizio dell’era social, da Intranet fino a Facebook, le persone non possono essere coscienti degli stati d’animo e del contesto in cui vivono le altre persone. Per cui è molto facile vedere in maniera negativa o offensiva una risposta, quando di tutto ciò, in realtà, non vi è traccia. Questo genera fraintendimenti incomprensibili da entrambe le parti. Quindi, il lato sociale prende punti da una parte per perderne dall’altra. Il futuro ci aiuterà… Oppure preferiremo regredire.“. Quoto totalmente questa osservazione.

Spesso sento che per migliorare le cose è sufficiente educare le persone. E’ sicuramente la strada più giusta, ma è anche la più utopica. E’ giusto che nel mondo ci siano persone colte e meno colte, persone che hanno voglia di imparare ed altre no, persone che hanno gusti, ambizioni, modi di fare talmente differenti che sarebbe assurdo costringerle ad essere educate. Sarebbe come chiedere a tutti di essere esperti in ogni cosa. No, cari miei. E’ lo strumento che è sbagliato. Uno strumento che mette sullo stesso piano un premio Nobel ed una persona normale come me non può funzionare. Può essere divertente, finchè è usato per scopi leggeri, ma in generale non funziona. Con i social è come se avessimo a che fare con migliaia, se non milioni di leader, e non credo sia una regola prevista dall’evoluzione della specie. Dovremmo prima metterci tutti d’accordo, concordando ad esempio con il fatto che i social vanno usati in modo leggero, ma non può funzionare, ovviamente.

Detto tutto questo, insomma, è anche giunto il momento, almeno per me, di riappropriarmi dei miei spazi. Per questo motivo ho ricominciato a scrivere sul blog. Perchè mi rilassa, perchè scrivo ciò che mi piace, diffondo ciò che so, nel limite delle mie competenze. E nessuno può decidere di bannare un mio post, mentre un social potrebbe farlo (ed in realtà nel mio caso l’ha fatto, visto che Facebook mi ha sospeso per qualche giorno senza una ragione valida). E il grande vantaggio di un blog è che è meritocratico. Scrivo cose giuste ed interessanti? Ho 1.000.000 di visitatori al giorno. Scrivo stupidaggini, scrivo male, scrivo cose fuori luogo? Avrò 17 visitatori al giorno. E’ giusto che sia così, porca miseria. Sono stufo marcio di un mondo digitale dove la massa ha sempre ragione. Sono un leader? Attirerò seguaci. Scrivo cose dementi, fuori luogo, razziste? E’ giusto che non venga seguito da nessuno. Direte voi: anche sui social succede così. Se questa è la risposta, ripartite a leggere questo post dall’inizio, perchè la risposta è lì. Tutti hanno diritto alla libertà di parola, quella non va negata a nessuno, ma la popolarità te la devi guadagnare, e dipende esclusivamente da ciò che dici. L’ubriacone al bar viene ascoltato da qualche avventore del bar stesso, ma viene bellamente ignorato. Sui social invece esiste un naturale effetto “cassa di risonanza” totalmente a sfavore della realtà, in balia della menzogna facile, urlata più o meno consapevolmente.

Sono giunto alla conclusione che non siamo fatti per dialogare gli uni con gli altri in una cerchia così grande. Dobbiamo modellare i social secondo le migliori convenzioni del mondo reale.

Io, per esempio:

  • non posso entrare in una sala operatoria e mettermi a dialogare di medicina con il chirurgo
  • non posso entrare in un CdA di una grande azienda ed arrogarmi il diritto di sapere come gestire l’azienda, al punto di consigliare o cazziare qua e là in base a quello che credo
  • non posso andare in diretta TV ad urlare le mie idee
  • non posso entrare in tantissimi palazzi pubblici (provincia, regione, altri governativi), semplicemente perchè non ho le credenziali per farlo

Perchè dovrei avere questi diritti sui social? Un mondo che permetta di dialogare a 360°, con la massima e totale libertà, è pura anarchia di comunicazione. Ed è quello che accade sui social.

  • potrei entrare in sala operatoria e dialogare con il chirurgo solo dopo la mia bella laurea di medicina, e dopo anni di apprendistato
  • potrei entrare in un CdA dopo aver ottenuto le giuste credenziali
  • potrei andare in diretta TV solo dopo aver dimostrato di aver qualcuno di giusto e corretto da dire
  • potrei entrare in Parlamento, per esempio, solo dopo essere stato eletto

Esempio sciocco: sono stato per 3 anni nel Direttivo di Piloti Virtuali Italiani. Sono stato ammesso perchè in un’assemblea tenutasi nel gennaio 2014, ho fatto un breve discorso in un hotel, davanti ai soci presenti (circa 80), spiegando quali sarebbero stati i miei scopi ed i miei obiettivi. Si è votato e sono entrato a far parte del Direttivo. Meritocrazia, insomma.

Paradossalmente, i social network che hanno più probabilità di rimanere puliti sono quelli non generalisti, dedicati ad uno scopo ben preciso. Ad esempio, LinkedIn penso che funzioni meglio, per due motivi: siamo meno, ma soprattutto chi frequenta quel social è un professionista, e quindi ci si ritrova fra pari grado. Forse l’idea che c’era dietro Google Plus non era malaccio, ma avendolo usato davvero poco, non posso esprimere un’idea precisa; ma l’idea di fondo di quel social erano le cerchie, che limitavano in qualche modo la visibilità di un post, facendo in modo che una certa discussione coinvolgesse le persone più giuste per quel tipo di argomento. Su Instagram si dialoga per lo più attraverso foto, al massimo qualche commento; e comunque anche qui qualche scandalo c’è stato. Ricordo, se non erro, Bonolis che andava in vacanza in qualche posto lussuoso, oppure Belen che bacia suo figlio in modo un po’ troppo…provocante? Ed anche in quel caso, via con insulti a go go.

Per favore, non paragonate una discussione reale con quella sui social. Quella sui social dura in modo indefinito, coinvolge decine o centinaia di persone, assume toni decisamente più accesi rispetto a quella dal vivo. Non c’è dubbio su questo. Ad una discussione social non viene mai staccata la spina, perchè chiunque può farla ripartire quando si accorge della sua esistenza, in diretta, il giorno dopo o dopo una settimana. E’ invasiva, non si molla mai. E la pressione sale.

La cosa drammatica, secondo me, è che il problema dei social non può essere risolto dai social stessi. Facebook non ha alcun interesse a rimediare ai suoi stessi problemi; a Facebook interessa fatturare, veicolare la pubblicità, raggiungere ogni giorno la quota del miliardo di utenti connessi contemporaneamente. Poco importa, a Facebook come a tutti gli altri, se i contenuti sono litigi, discussioni, minacce, notizie false. Anzi: più gente c’è, per loro, meglio è. Sarete d’accordo con me che così non può andare avanti. C’è bisogno di regole, di ripensare qualcosa.

Adesso, prima di lasciarvi ai vostri commenti, vi linko l’appello che Laura Boldrini (ovviamente insultata più e più volte sui social in modo estremamente sessista e volgare negli ultimi mesi/anni, sebbene sia una persona di cultura che ha lavorato per 25 anni all’ONU) ha rivolto a Facebook, guarda caso, per risolvere il problema.

Buon social a tutti.

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Visual Studio 2017 esce il prossimo 07/03

Beh, secondo questo post ufficiale Visual Studio 2017 uscirà ufficialmente il prossimo 7 marzo. Sarà un martedì. Quel giorno mi raccomando: scaldate i PC, riavviate i vostri modem per scaricare il più velocemente possibile i file iso per effettuare il setup.

Avrò occasione, qua sul mio blog ed in altre parte del web (ho delle sorprese in merito), di raccontarvi tutte le novità del nostro IDE. Vi parlerò di sviluppo di applicazioni desktop e di applicazioni UWP, di Azure, e di tanto altro ancora, come ormai è consuetudine.

Non mancate l’appuntamento!!!!

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[Ammy.5] Modifiche a runtime del codice

Il linguaggio Ammy supporta una feature a mio avviso straordinaria, anche se ad oggi presenta dei piccoli bug, già segnalati.

Mentre la vostra applicazione WPF è in running, potete tranquillamente continuare a lavorare sul codice della UI – scritta in Ammy – senza interromperne l’esecuzione.

Per farlo, il runtime di Ammy utilizza i socket. Ecco il motivo per cui la prima volta che fate F5 con Visual Studio il firewall di Windows intercetta la comunicazione di rete:

image

Ovviamente dovete cliccare su Consenti accesso. Fatto questo potete mantenere l’applicazione in esecuzione (magari su un monitor secondario), tornare in Visual Studio ed editare in tutta libertà il codice Ammy. Ogni volta che salverete il file, Visual Studio scatenerà un refresh della Window.

Sulla homepage ufficiale di Ammy c’è un bel video di poco meno di 30 minuti che vi mostra questa caratteristica del linguaggio. Cito testualmente dalla fonte: “Note that application was always running during the development, never needing to restart”.

Voglio farvi notare un’ultima cosa, prima di salutarvi. Nell’editor di codice Ammy c’è un pallino che indica la validità del codice Ammy (lo ricordo, che riprende la sintassi dal JSON). Quindi:

  • Pallino verde: tutto ok
  • Pallino rosso: qualcosa non va in Ammy

image

Personalmente, ad oggi trovo piuttosto ostico scrivere Ammy. Dopo 10 anni di XAML, è dura cambiare linguaggio per la UI, ma i vantaggi ci sono, cerco di adeguarmi, per cui butto sempre un occhio a questo indicatore per avere una conferma visiva. Per ora non sto usando Ammy in alcun progetto reale per un cliente, ma non si sa mai.

Ok! Mi hai detto che ci sono dei bug, quali sono?
I bug di Ammy sono tanti, essendo un linguaggio in fase di sviluppo. Per rimanere sul tema di questo post, accade la seguente cosa. Supponiamo di avere un po’ di code-behind, legato ad un evento di un qualsiasi controllo della UI. Ricordate la PasswordBox di cui abbiamo parlato nell’ultimo post? Supponiamo di sottoscriverne l’evento PasswordChanged.

PasswordBox {
    #Cell(1, 1),
    VerticalAlignment: Center,
    HorizontalAlignment: Stretch,
    PasswordChanged: "changed"
}

E’ esattamente come faremmo con lo XAML. L’intellisense ci viene in aiuto, fino ad un certo punto. Purtroppo dobbiamo scrivere noi l’event handler legato a questo evento. Una volta che avete sottoscritto l’evento e predisposto l’event handler nel code-behind, ovviamente tutto funziona. Fate per scrivere una password, e passate dal codice del vostro handler. Nulla di strano fino a qua.

Se successivamente modificate il codice Ammy a run-time e salvate, la Windows viene aggiornata, ma l’event handler si sgancia. Morale: dovete stoppare e riavviare l’applicazione. Da tener presente che tutto questo accade se lavorate con eventi ed un po’ di code-behind. Se approcciate con MVVM il problema non si pone, ma c’è comunque.

Happy coding!

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Formattazione XML con Notepad++

Negli ultimi giorni ho litigato parecchio con Open XML SDK, la libreria Microsoft open che permette di creare da codice documenti di tipo Office, vale a dire Word ed Excel, giusto per citarne i due più famosi.

E’ giusto ricordare che i formati .docx e .xlsx non sono nient’altro che file zip compressi, che al loro interno contengono tutte le informazioni per rappresentare i documenti. Ed il tutto è gestito attraverso file XML che possono essere tranquillamente letti, modificati e manipolati. La libreria Open XML SDK semplifica un po’ le cose, ma c’è comunque da impazzire un pochino.

Fatta questa premessa, mi è capitato di dover visualizzare questi file XML attraverso Notepad++ che, purtroppo, di default non è in grado di formattare a dovere. Quindi, per riassumere:

  • apro un file .docx attraverso 7-Zip
  • navigo i folder contenuti, seleziono un file XML
  • premo F4 per avviare l’editor, nel mio caso Notepad++
  • il file XML è visualizzato su una singola lunghissima linea di codice.

Burp! Panico.

Come risolvere? Con i plugin giusti di Notepad++, ovviamente.

  • Aprite Notepad++
  • Aprite il menù Plugins –> Plugin Manager –> Show Plugin Manager

image

Dall’elenco dei plugin selezionate XML Tools.

image

Cliccate Install, riavviate Notepad++. Purtroppo potrebbe capitarvi di dover riavviare un paio di volte Notepad++, perchè prima vi aggiorna il Plugin Manager e poi dovete richiedere nuovamente l’installazione del plugin XML Tools. Fatto questo, avete abilitato tutta una serie di nuovi strumenti per lavorare più velocemente con i file XML.

image

Et voilà, un bel colpo di Pretty print per formattare l’XML e poterlo leggere comodamente!

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[Ammy.4] Fare binding con Ammy

Nel post precedente abbiamo mosso i primi passi con WPF & MVVM sviluppato con Ammy. Abbiamo creato una view ed abbiamo visto come legare staticamente questa view con il suo viewmodel.

Ricordo che tutto il codice sorgente si trova su GitHub:
https://github.com/Brain-Sys/FsxLogger.Client

Adesso, come facciamo binding?

L’unica view con cui abbiamo a che fare è contenuta nel file LoginWindow.ammy. La UI è questa:

image

Un controllo TextBox ed un PasswordBox, seguiti poi da due Button per eseguire due comandi (uno effettua il login e l’altro annulla l’operazione, per cui l’applicazione WPF viene chiusa).

La TextBox è collegata alla proprietà Username del ViewModel.

TextBox {
    #Cell(0, 1),
    VerticalAlignment: Center,
    HorizontalAlignment: Stretch,
    Text: bind Username,
    Padding:"4" }

Notare l’uso del mixin Cell. La penultima riga effettua il binding. La sintassi è molto compatta.

Text : bind Username

Abbiamo utilizzato la keyword bind di Ammy. La proprietà del viewmodel va indicata senza virgolette né apici, semplicemente indicando il nome della proprietà, come faremmo con lo XAML.

Se dovessimo impostare ulteriori proprietà per fare il binding (Mode, UpdateSourceTrigger, StringFormat, NotifyOn*), allora la sintassi cambia leggermente. Si ragiona sempre in JSON:

Text: bind Username set
[
    Mode: TwoWay,
    UpdateSourceTrigger: PropertyChanged,
    IsAsync: true
]

Dopo il Set si indica un array di proprietà, ciascuna con il suo valore. Nel caso specifico, impostare Mode ed IsAsync non era necessario, l’ho fatto a solo scopo didattico.

Per quanto riguarda i due Button, il binding verso i Command è semplicemente espresso come:

Button { Content: "Login", Command: bind LoginCommand }
Button { Content: "Cancel", Command: bind CancelLoginCommand }

Ovviamente LoginCommand e CancelLoginCommand sono due proprietà RelayCommand (stiamo utilizzando MvvmLightLibs) esposte dal viewmodel. Cliccando su ciascuno dei due bottoni, viene scatenato il Command corrispondente. Non ci interessa approfondire altro in questo contesto.

Risolvere il problema del binding sul controllo PasswordBox è un po’ più complicato, perchè la proprietà Password non è una DependencyProperty. E’ OT rispetto a questo post, ma lo risolveremo.

Altri tipi di binding

Vediamo adesso altre forme di binding. Parliamo di come poter impostare il focus sul primo controllo all’avvio della finestra, posizionandolo sul controllo PasswordBox.

Questa cosa si risolve con due passaggi:

  1. diamo un nome al controllo a cui vogliamo assegnare il focus
  2. utilizziamo la classe FocusManager

Risolviamo prima lo step (1).

PasswordBox {
    #Cell(1, 1),
    VerticalAlignment: Center,
    HorizontalAlignment: Stretch,
    Name: "focus" }

Il nome assegnato al controllo è focus. A questo punto andiamo ad utilizzare la seguente sintassi associata alla Window.

FocusManager.FocusedElement: bind from "focus"

Utilizziamo la keyword bind seguita da from, che ci permette di cambiare il Source dell’oggetto verso il quale stiamo effettuando il binding. La stringa successiva “focus” rappresenta il nome del controllo. Lo XAML generato dal codice Ammy qui sopra è il seguente:

<FocusManager.FocusedElement>
    <Binding ElementName="focus"/>
</FocusManager.FocusedElement>

Sostanzialmente, quando utilizziamo la sintassi bind from seguito da una stringa tra virgolette, questa stringa viene considerata come ElementName, quindi il Source diventerà un controllo WPF.

Da adesso in poi, quando la Window verrà renderizzata sullo schermo, WPF assegnerà il focus automaticamente al controllo PasswordBox: l’utente potrà premere Invio e fare login.

Beh, cosa posso indicare dopo il “from” ?

Ammy permette di scrivere binding di questo tipo:

  • bind Username from $viewmodel (comportamento predefinito, al punto che è possibile omettere from $viewmodel)
  • bind XYZ from $this, equivalente a RelativeSource={RelativeSource Self}
  • bind from $resource XYZ, equivalente a Source={StaticResource XYZ}

Per maggiori dettagli fate riferimento al sito ufficiale di Ammy.

Happy coding!

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Software

Montaggio video con ffmpeg

Nei mesi scorsi, quando ero in ballo con il progetto DevInPills, mi è capitato di dover montare tre video, concatenandoli uno all’altro, sostanzialmente per ottenere una cosa tipo:

SIGLA DI APERTURA + EPISODIO DEL GIORNO + SIGLA DI CHIUSURA

Ho evitato di cercare un software tradizionale, ma ho preferito puntare su uno strumento che fosse automatizzabile. Leggesi, quindi, da eseguire anche dal prompt dei comandi.

Ho puntato quindi sull’utility ffmpeg che, come dichiara il sito ufficiale, è un “complete, cross-platform solution to record, convert and stream audio and video”. Dalla linea di comandi potete insomma eseguire tantissime operazioni, e come potete immaginare io ne ho imparato una minima parte, quelle che avevo bisogno per finire ciò che mi serviva.

Beh, allora, come si fa?
Supponiamo di avere un folder così composto:

image

  • ffmpeg.exe : è portable, non va installato, basta posizionare l’exe da quasi 40Mb dove vi serve. Comodo.
  • In.mp4 : video di apertura del video finale
  • Out.mp4 : video di chiusura del video finale
  • Produce.ps1 : script Powershell che effettua il montaggio del video

Quello che manca nella cartella qui sopra è “Episode.mp4”, supponiamo che ci sia, e pensiamo ad esso come se fosse la nostra puntata.

Cosa contiene lo script Powershell? E’ semplice!

$InputFile = "Episode.mp4"

#--------------------------------------
#Please don't touch these values
#--------------------------------------
$ExePath = ".ffmpeg.exe"
$OpeningFile = "In.mp4"
$EndingFile = "Out.mp4"
$FinalFile = "FINAL_" + $InputFile
#--------------------------------------

# Concatenate "In.mp4" + $InputFile + "Out.mp4"
# Save the result in $FinalFile
& $ExePath -i $OpeningFile -i $InputFile -i $EndingFile -filter_complex '[0:v:0] [0:a:0] [1:v:0] [1:a:0] [2:v:0] [2:a:0] concat=n=3:v=1:a=1 [v] [a]' -map "[v]" -map "[a]" $FinalFile

Ci sono un po’ di variabile definite nello script.

  • $InputFile : è il nome del file che contiene il nostro episodio
  • $ExePath : path dove recuperare ffmpeg.exe
  • $OpeningFile : video di apertura
  • $EndingFile : video di chiusura
  • $FinalFile : nome del file video finale che verrà generato (uso come prefisso “FINAL_” rispetto al nome del file contenuto in $InputFile)

L’ultima linea esegue ffmpeg e procede al concatenamento dei tre video, che come si vede dal commento è un banale “In.mp4” + “Episode.mp4” + “Out.mp4”. La sintassi è alquanto criptica, devo dire. Ovviamente ho cercato la soluzione e poi l’ho adattata ai miei scopi.

Secondo me, se gestite un sito di video (su Facebook, YouTube, etc.) o magari una community che intende pubblicare frequentemente dei video, è uno script più che utile, perchè vi permette di registrare la vostra puntata sotto forma di Episode.mp4, copiare il file nella cartella giusta, lanciare lo script ed in pochi minuti ottenete il video montato, con la sigla di apertura & chiusura.

ffmpeg fa tantissime altre cose (cambio di risoluzioni o di aspect-ratio di un video, cambiamento del bitrate per diminuire la qualità ed ottenere un file più compatto), etc. Googlate e carpite la sintassi che serve ai vostri scopi.

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[Ammy.3] Primi passi con MVVM

Come ho raccontato nel mio ultimo post dedicato a questa serie, preferisco continuare a raccontarvi il linguaggio Ammy usando un progetto il più possibile reale, motivo per cui ho creato questo repository sull’account GitHub di Brain-Sys, che potete tranquillamente clonarvi sul vostro PC:

https://github.com/Brain-Sys/FsxLogger.Client

Allo stato attuale, la solution che vi ritroverete sul PC è così composta:

image

Tralasciamo per ora lo scopo preciso della nostra applicazione WPF. I progetti sono quattro:

  • FsxLogger.Client : l’applicazione WPF sviluppata con Ammy
  • FsxLogger.ViewModels.Portable : una serie di viewmodel implementati in PCL
  • FsxLogger.ViewModels.Wpf : una serie di viewmodel che ereditano da quelli PCL, ma si specializzano per il mondo WPF
  • FsxLogger.ViewModels.Message : messaggi da utilizzare per far comunicare viewmodel con l’applicazione WPF, utilizzando la classe Messenger di MvvmLightLibs

Detto questo, parto dal presupposto che conosciate WPF, C#, MVVM, il motore di binding di WPF, e la solita serie di nozioni che è necessario avere. Andiamo per gradi.

Prima di partire in quarta…qualche nozione introduttiva
La nostra applicazione WPF ha una finestra di Login per l’autenticazione, che ovviamente è la prima che compare quando l’applicazione parte. Essa si chiama, con molta fantasia, LoginWindow.ammy. E’ questa la prima finestra che andremo a sviluppare. Il corrispondente viewmodel si chiama LoginViewModel, e si trova nell’assembly PCL.

image

Importare un namespace
La prima necessità che abbiamo è quella di importare un namespace in linguaggio Ammy, esattamente come faremmo con lo XAML, né più né meno. La sintassi è molto semplice, perchè basta utilizzare la keyword using, che è la stessa che useremmo con C#. Dopo aver aggiunto le reference (dal progetto FsxLogger.Client ho aggiunte le reference agli altri 3, per capirci), possiamo prendere un file .ammy ed all’inizio dichiarare il namespace in questo modo:

using FsxLogger.ViewModels.Portable

Da questo momento in poi, l’Intellisense reagirà e potremo inserire le classi contenute in quel namespace. Nelle risorse della Window inseriamo il viewmodel.

Resources: [
    LoginViewModel Key="vm" { }
]

Questa è la sintassi da utilizzare. La proprietà Resources delle Windows è di tipo ResourceCollection, quindi può contenere ovviamente più oggetti, motivo per il quale abbiamo dovuto usare le parentesi [ e ], come in JSON, per indicare un array di oggetti. All’interno ho inserito la classe LoginViewModel (notare: senza usare alcun prefisso come invece accadrebbe in XAML), assegnando una Key “vm”. Fatto.

Passo successivo è quello di assegnare la proprietà DataContext ad un controllo (la finestra? il controllo più esterno del visual tree?) per far propagare il viewmodel per tutta la view.

Nel mio caso, ho impostato DataContext sulla Grid a linea 14.

Grid
    {
        DataContext: resource "vm",
        #TwoColumns(120), #ThreeRows("Auto", "Auto"),
        Margin: "8"
    }

Il codice che vedete qui è semplificato rispetto a ciò che vedete su GitHub. Notare l’utilizzo della keyword Ammy resource, equivalente alla StaticResource di XAML, ma lievemente più compatta.

Come accade con lo XAML, il DataContext fa propagare la classe di viewmodel per tutto il visual tree della nostra UI. Grazie a questo meccanismo, da qui in avanti potremo fare binding sui controlli e rendere il tutto funzionante. Ma questo è argomento dei prossimi post.

Prima di chiudere, due note importanti

Ricordiamoci sempre che compito di Ammy è quello di generare l’equivalente codice XAML. Ciò significa che mentre noi lavoriamo sulla view LoginWindow.ammy, da qualche parte esiste un altro file LoginWindow con estensione XAML. Dove si trova? E’ semplice: nel solution explorer attivate l’opzione “Show All Files”, così cominciate a vedere anche quelli nascosti. Eccolo lì, l’avete trovato!!!

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E’ molto comodo perchè questo file XAML è autogenerato dal codice Ammy, e quindi potete man mano verificare che tutto funzioni regolarmente.

E perchè, allora, usare Ammy? Lo ripeto: perchè è estremamente più compatto, perchè ci sono mixin ed alias (utilissimi), perchè fare binding con la sintassi XAML è più veloce e parlante (Intellisense permettendo), per i bellissimi inline binding converter, che sono meravigliosi.

La seconda ed ultima cosa che vi voglio far notare è che Ammy non si lamenta se per sbaglio specificate due volte la stessa proprietà sullo stesso controllo, cosa che invece XAML fa. Mi spiego meglio; guardate questo stralcio di codice:

Window "FsxLogger.Client.LoginWindow"
    {
    Width: 320, Height: 240, Width: 320, Height: 240
    WindowStartupLocation: CenterScreen,
    WindowStyle: ToolWindow, Title: "Login"
    FocusManager.FocusedElement: bind from "focus"
    }

Ho ripetuto Width e Height della Window due volte, volutamente, per sbaglio. Ammy non si lamenta. XAML lo farebbe, invece. Andate a dare un’occhiata al codice XAML generato. Ammy fa una cosa molto semplice: evita di duplicare quelle proprietà, esattamente come dovrebbe fare.

Il codice compila, l’applicazione parte, noi siamo felici.

Alla prossima! Happy coding!

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My daily work

Scusi, mi rifà il programma?

Questo post è basato su fatti realmente accaduti.

E’ successo. E’ ricapitato. Per l’ennesima volta, è riaccaduta la stessa cosa.

Un potenziale cliente vi contatta, vi incontrate, chiaccherate per la prima volta su quello che dovrà fare il meraviglioso software che ha in testa. E per l’ennesima volta devi ricostruire, riprogettare da zero, un software già esistente, scritto lustri prima in MFC, o in Visual Basic 4.0, o in Access 97 o addirittura 2.0. E chiamano te per riconvertirlo e riprogettarlo in .NET, magari perchè si sono accorti che non sono più competitivi sul mercato, perchè il codice è diventato ingestibile, perchè vogliono avere l’app sotto iOS o Android, o per mille altri motivi. Non c’è documentazione, c’è solo un gruppetto di persone che sanno perfettamente cosa deve fare il software, ma non c’è nulla di scritto e di formalizzato. Non c’è nulla di male in tutto questo, d’altronde lavoro è lavoro.

Tu, con il tuo bravo e fidato Visual Studio, vorresti cominciare lo sviluppo di questo software magari con DDD, scrivendo le classi e pensando accuratamente il dominio applicativo, quindi – per farla breve – approcciando ad una metodologia code-first. Prima le classi, in seguito la logica, poi penserai al modello di persistenza. Ma il tuo cliente ragiona diversamente; come accadeva decenni fa (quando il suo software è stato scritto la prima volta) ragiona partendo dal database. Per lui è essenziale vedere lo schema del database, per capire se stai scrivendo la cosa giusta. Prima di vedere anche una sola linea di codice C#, vuole vedere le tabelle, le relazioni, i campi ed i nomi dei campi come piacciono a lui.

Di fronte ad una situazione di questo tipo, ci sono tante strade. Ne cito due.

  1. Tu ragioni sempre e comunque code-first. Scrivi le classi e lasci che sia l’ORM (Entity Framework?) a generarti tutto il mondo della persistenza relazionale. Ma siccome per il cliente lo schema del database è fondamentale – dal quale dipende il Supremo Destino della nostra Galassia – allora cominci a litigare con attributi o con vagonate di codice, per educare l’ORM a generarti lo schema del db esattamente come lo vuole il cliente
  2. Ti arrendi all’evidenza e cominci a progettare il database. Quindi segui il modello database-first. Fattibile, no? Al massimo, parlando di Entity Framework, una volta creato il database puoi farti comunque generare le classi tramite l’approccio “Code First from database”. Così al massimo puoi attivarti le migration…

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Il discorso, a mio avviso è semplice. Se vuoi portare a casa la pagnotta, al cliente devi comunque dare retta. Se il tuo committente, magari perchè è stato educato male, ragiona partendo dal database, purtroppo non puoi farci nulla. Io poi parto da un semplice presupposto: se hai chiamato me, non vuoi semplicemente uno che digita o scrive codice, ma vuoi uno che ci metta la testa. Però non sempre si ha questa possibilità, per diversi motivi.

Detto questo, il primo approccio è code-first solo in apparenza. Tecnicamente cominci scrivendo un sacco di classi, ma in realtà nella tua testa sei costantemente traviato da ciò che dovrai ottenere come struttura sul database. E’ solo un palliativo, insomma. Scrivi una classe, e poi via…tonnellate di codice nel metodo OnModelCreating di Entity Framework per piegare ai tuoi voleri l’ORM. Burp, equivalente al ruttino.

Il secondo approccio è a tutti gli effetti database-first. E se il cliente ragiona in questo modo, che male c’è? Siamo pagati per scrivere un software o per fare gli accademici? Quindi, che male c’è ad aprire il Microsoft SQL Server Management Studio, stendere tutte le tabelle, campi, relazioni, e poi importarle via Entity Framework? In questo modo il cliente è soddisfatto, io ho le mie classi su cui poi cominciare a sviluppare. Se il progetto è di una certa importanza e/o durata, ci sarà magari tutto il tempo per guadagnare stima e fiducia verso il cliente, e ci saranno tutte le occasioni per indirizzarlo verso strade e percorsi più moderni allo sviluppo del software.

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