Il conato di vomito dei social network
I social network stanno fallendo su tutti i fronti. Lasciate che vi faccia un riassunto di tante piccole storielle, che probabilmente tutti voi avete sentito, oppure no.
Da una parte c’è il professor Roberto Burioni, che lotta tutti i giorni contro i movimenti anti-vaccinisti, con tutte le polemiche del caso. E’ di qualche giorno fa la notizia che un suo post su Facebook è stato bannato, probabilmente segnalato in massa da un gruppo di persone per i suoi contenuti. Facebook ovviamente non può mettersi a leggere tutti i post che vengono pubblicati ogni secondo, per cui va per numero: se un post viene segnalato da un po’ di persone, viene automaticamente rimosso. Pazzesco. Peccato che dopo un certo numero di post rimossi, probabilmente potrebbe venir bloccato l’intero account.
Da un’altra parte c’è l’inevitabile esito di ogni discussione sui social. Indipendentemente dall’argomento (referendum del 4 dicembre, l’ultimo film di Star Wars, la marca degli hard-disk che compriamo, una ricetta, un qualsiasi evento sportivo, etc.), inevitabilmente la discussione degenera, va oltre i propri confini, diventa quella che io definisco – anche nella mia vita privata – una gara di scherma. Dove devi stare attento a come ti muovi, sennò il tuo interlocutore ti tocca facendo punto, e tu a tua volta devi usare sarcasmo/sagacia/cattiveria per segnare il tuo punto. Bleah. La litigata avviene sempre, per argomenti futili ed argomenti più complessi. Ognuno crede di sapere la verità, compreso me. In base all’argomento, ognuno ha nel proprio passato inevitabilmente condotto la propria battaglia contro i suoi mulini a vento. Un redattore di The Games Machine è stato insultato per aver scritto un articolo contro la pirateria dei videogiochi. Io mi sono preso del razzista, dell’immaturo, dell’idiota, tra l’altro da persone che mai e poi mai si permetterebbero di dire quelle cose dal vivo. Quelle stesse persone, dal vivo, sono squisite, molto più intelligenti e preparate di me, verso le quali nutro sincero rispetto. E’ lo strumento social che le trasforma, così come trasforma me.
Altro? Ogni giorno, grazie ai social, ci sono vittime di cyberbullismo. E, per favore, non fate paragoni con il bullismo tradizionale che esisteva 25 o 30 anni fa. Una volta quando avevi a che fare con il bullo della tua scuola, era una faccenda tra te e lui. Il più delle volte, tra te ed un gruppo di bulli. Alla fine uno aveva la meglio, o la peggio, ma la cosa era comunque circoscritta. Oggi tutto viene ripreso in diretta, filmato, buttato su Whatsapp, su Facebook. E la vittima è segnata a vita. Ci sono storie recenti di ragazzi e ragazze che si sono suicidate, per ragioni di questo tipo. Se sottovalutate il cyberbullismo odierno al grido di “il bullismo c’è sempre stato” manifestate una certa ignoranza, e comunque un certo distacco dal mondo non solo giovanile di oggi.
Di nuovo: è notizia di qualche giorno fa che Twitter vuole dare la caccia e chiudere gli account fake. Tanti di questi account sono simpatici, divertenti, irriverenti. Ma non è semplicemente una cosa giusta che ci siano. Dietro all’anonimato si nascondono anche insidie e pericoli. Ci siamo costruiti (mi ci metto in mezzo) un mondo digitale basato sull’anonimato, che oggi però è più pericoloso che altro. No: se tu vuoi stare in Rete, devi farlo con il tuo nome & cognome. E’ finita la pacchia. Vi rendete sì o no conto che l’elezione di Trump – solo per citare un fatto recente – potrebbe essere stata favorita dalla diffusione di notizie fake populiste? Se non è pericolo questo…non riesco a capire cosa possa esserlo.
E facciamo un altro esempio. Conoscete tutti Charlie Hebdo, il noto periodico settimanale satirico francese, venuto un po’ alla ribalta per gli attentati del Gennaio 2015; il loro account Twitter è @Charlie_Hebdo_. Capita a volte che facciano vignette anche dedicate a qualche evento italiano (il recente terremoto, per esempio). Supponiamo che 1.000 italiani si mettano a segnalare a Twitter che quell’account vada chiuso perchè offende, è fuori luogo, è offensivo. Cosa fa Twitter? Probabilmente, ed automaticamente, chiuderebbe o sospenderebbe l’account, esattamente come ha fatto Facebook con il post del professor Burioni. Vi sembra corretto? Io una mia risposta ce l’ho, ma mi piacerebbe che anche voi ci pensaste un attimino.
Un altro gravissimo aspetto è che sempre più l’informazione giornalistica viene veicolata attraverso i social. Politica, attualità, scienza, medicina, tutto il resto. Un giorno, mentre ero in auto, su Radio 24 hanno detto che sempre più italiani utilizzano i social per informarsi. Ed è una cosa incredibile. Attenzione, faccio un mea-culpa: anche io ho utilizzato i social (Facebook) per fare informazione, nel mio piccolo. Questo per dire che non è colpa di qualcuno di preciso, è colpa di tutti, è colpa dell’andazzo delle cose, è colpa dell’invasività di questi strumenti. Da una parte c’è sì il grande vantaggio dell’enorme visibilità, ma dall’altra c’è la grande carenza di distinguere tra il vero ed il falso, c’è il problema delle discussioni, c’è tutto quello che ho descritto prima che non funziona. Ognuno di noi concepisce la partecipazione sui social in modo differente: c’è chi lo prende per un gioco, c’è chi lo prende per qualcosa di più serio. C’è chi lo utilizza come strumento di indignazione (della durata di 10 minuti), e c’è invece chi lo utilizza per le proprie campagne di sensibilizzazione.
Un problema insito nei social è che c’è una probabilità altissima di parlare con persone del tutto ignote, dall’altra parte d’Italia se non del mondo. Persone di cui non si conosce nulla: il contesto in cui vivono, che lavoro fanno, come ragionano, chi sono e chi non sono. E spesso ci si prende il diritto di giudicarle, di parlare con loro come se fossero vicini di casa, mentre in realtà non è affatto così. Per citare il mio amico Marco, socio di Piloti Virtuali Italiani “Il problema, Igor, è che fin dall’inizio dell’era social, da Intranet fino a Facebook, le persone non possono essere coscienti degli stati d’animo e del contesto in cui vivono le altre persone. Per cui è molto facile vedere in maniera negativa o offensiva una risposta, quando di tutto ciò, in realtà, non vi è traccia. Questo genera fraintendimenti incomprensibili da entrambe le parti. Quindi, il lato sociale prende punti da una parte per perderne dall’altra. Il futuro ci aiuterà… Oppure preferiremo regredire.“. Quoto totalmente questa osservazione.
Spesso sento che per migliorare le cose è sufficiente educare le persone. E’ sicuramente la strada più giusta, ma è anche la più utopica. E’ giusto che nel mondo ci siano persone colte e meno colte, persone che hanno voglia di imparare ed altre no, persone che hanno gusti, ambizioni, modi di fare talmente differenti che sarebbe assurdo costringerle ad essere educate. Sarebbe come chiedere a tutti di essere esperti in ogni cosa. No, cari miei. E’ lo strumento che è sbagliato. Uno strumento che mette sullo stesso piano un premio Nobel ed una persona normale come me non può funzionare. Può essere divertente, finchè è usato per scopi leggeri, ma in generale non funziona. Con i social è come se avessimo a che fare con migliaia, se non milioni di leader, e non credo sia una regola prevista dall’evoluzione della specie. Dovremmo prima metterci tutti d’accordo, concordando ad esempio con il fatto che i social vanno usati in modo leggero, ma non può funzionare, ovviamente.
Detto tutto questo, insomma, è anche giunto il momento, almeno per me, di riappropriarmi dei miei spazi. Per questo motivo ho ricominciato a scrivere sul blog. Perchè mi rilassa, perchè scrivo ciò che mi piace, diffondo ciò che so, nel limite delle mie competenze. E nessuno può decidere di bannare un mio post, mentre un social potrebbe farlo (ed in realtà nel mio caso l’ha fatto, visto che Facebook mi ha sospeso per qualche giorno senza una ragione valida). E il grande vantaggio di un blog è che è meritocratico. Scrivo cose giuste ed interessanti? Ho 1.000.000 di visitatori al giorno. Scrivo stupidaggini, scrivo male, scrivo cose fuori luogo? Avrò 17 visitatori al giorno. E’ giusto che sia così, porca miseria. Sono stufo marcio di un mondo digitale dove la massa ha sempre ragione. Sono un leader? Attirerò seguaci. Scrivo cose dementi, fuori luogo, razziste? E’ giusto che non venga seguito da nessuno. Direte voi: anche sui social succede così. Se questa è la risposta, ripartite a leggere questo post dall’inizio, perchè la risposta è lì. Tutti hanno diritto alla libertà di parola, quella non va negata a nessuno, ma la popolarità te la devi guadagnare, e dipende esclusivamente da ciò che dici. L’ubriacone al bar viene ascoltato da qualche avventore del bar stesso, ma viene bellamente ignorato. Sui social invece esiste un naturale effetto “cassa di risonanza” totalmente a sfavore della realtà, in balia della menzogna facile, urlata più o meno consapevolmente.
Sono giunto alla conclusione che non siamo fatti per dialogare gli uni con gli altri in una cerchia così grande. Dobbiamo modellare i social secondo le migliori convenzioni del mondo reale.
Io, per esempio:
- non posso entrare in una sala operatoria e mettermi a dialogare di medicina con il chirurgo
- non posso entrare in un CdA di una grande azienda ed arrogarmi il diritto di sapere come gestire l’azienda, al punto di consigliare o cazziare qua e là in base a quello che credo
- non posso andare in diretta TV ad urlare le mie idee
- non posso entrare in tantissimi palazzi pubblici (provincia, regione, altri governativi), semplicemente perchè non ho le credenziali per farlo
Perchè dovrei avere questi diritti sui social? Un mondo che permetta di dialogare a 360°, con la massima e totale libertà, è pura anarchia di comunicazione. Ed è quello che accade sui social.
- potrei entrare in sala operatoria e dialogare con il chirurgo solo dopo la mia bella laurea di medicina, e dopo anni di apprendistato
- potrei entrare in un CdA dopo aver ottenuto le giuste credenziali
- potrei andare in diretta TV solo dopo aver dimostrato di aver qualcuno di giusto e corretto da dire
- potrei entrare in Parlamento, per esempio, solo dopo essere stato eletto
Esempio sciocco: sono stato per 3 anni nel Direttivo di Piloti Virtuali Italiani. Sono stato ammesso perchè in un’assemblea tenutasi nel gennaio 2014, ho fatto un breve discorso in un hotel, davanti ai soci presenti (circa 80), spiegando quali sarebbero stati i miei scopi ed i miei obiettivi. Si è votato e sono entrato a far parte del Direttivo. Meritocrazia, insomma.
Paradossalmente, i social network che hanno più probabilità di rimanere puliti sono quelli non generalisti, dedicati ad uno scopo ben preciso. Ad esempio, LinkedIn penso che funzioni meglio, per due motivi: siamo meno, ma soprattutto chi frequenta quel social è un professionista, e quindi ci si ritrova fra pari grado. Forse l’idea che c’era dietro Google Plus non era malaccio, ma avendolo usato davvero poco, non posso esprimere un’idea precisa; ma l’idea di fondo di quel social erano le cerchie, che limitavano in qualche modo la visibilità di un post, facendo in modo che una certa discussione coinvolgesse le persone più giuste per quel tipo di argomento. Su Instagram si dialoga per lo più attraverso foto, al massimo qualche commento; e comunque anche qui qualche scandalo c’è stato. Ricordo, se non erro, Bonolis che andava in vacanza in qualche posto lussuoso, oppure Belen che bacia suo figlio in modo un po’ troppo…provocante? Ed anche in quel caso, via con insulti a go go.
Per favore, non paragonate una discussione reale con quella sui social. Quella sui social dura in modo indefinito, coinvolge decine o centinaia di persone, assume toni decisamente più accesi rispetto a quella dal vivo. Non c’è dubbio su questo. Ad una discussione social non viene mai staccata la spina, perchè chiunque può farla ripartire quando si accorge della sua esistenza, in diretta, il giorno dopo o dopo una settimana. E’ invasiva, non si molla mai. E la pressione sale.
La cosa drammatica, secondo me, è che il problema dei social non può essere risolto dai social stessi. Facebook non ha alcun interesse a rimediare ai suoi stessi problemi; a Facebook interessa fatturare, veicolare la pubblicità, raggiungere ogni giorno la quota del miliardo di utenti connessi contemporaneamente. Poco importa, a Facebook come a tutti gli altri, se i contenuti sono litigi, discussioni, minacce, notizie false. Anzi: più gente c’è, per loro, meglio è. Sarete d’accordo con me che così non può andare avanti. C’è bisogno di regole, di ripensare qualcosa.
Adesso, prima di lasciarvi ai vostri commenti, vi linko l’appello che Laura Boldrini (ovviamente insultata più e più volte sui social in modo estremamente sessista e volgare negli ultimi mesi/anni, sebbene sia una persona di cultura che ha lavorato per 25 anni all’ONU) ha rivolto a Facebook, guarda caso, per risolvere il problema.
Buon social a tutti.
Un ottimo articolo….soprattutto la parte che hai dedicato al cyberbullismo, una piaga che inizia a riguardare non solo i giovani (che rimangono i meno protetti, ma anche le fasce di età superiori. Un fenomeno preoccupante. Grazie.
Sottoscrivo ogni parola, al punto che da molti mesi mi sto interrogando sull’opportunità di rimanere sui social (soprattutto Facebook). Anch’io salvo quelli “verticali”, tipo LinkedIn o Flickr (molto più di instagram): a prima vista, sembrerebbe che quanto meno spazio c’è per i commenti e meglio è. In realtà, forse, la differenza che in quei social chi partecipa lo fa perché veramente interessato all’argomento.
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