[Consulente, cronache] Reazioni emotive causa bug
Non so se sono io ad avere uno strano comportamento mentre sto lavorando, o se sono i colleghi che fraintendono il mio tipico atteggiamento. Allora, lo scenario è più o meno questo. Sto lavorando sul codice di un software che è già in produzione da mesi, ma che richiede ogni tanto qualche piccolo bug-fixing, o nuovi sviluppi per far fronte alle customizzazioni o alle richieste del cliente.
Quando si scopre un bug, piombo in uno stato che agli occhi degli altri sembra essere di estrema preoccupazione, ansia, o probabilmente una certa agitazione per un’apparente incapacità di risolvere il problema. Questo atteggiamento è indipendente dalla gravità del bug stesso.
In che stato cado, vi starete chiedendo?
Beh, esso è caratterizzato da un insolito silenzio, rotto occasionalmente da una voce molto più bassa del solito, da un continuo massaggio alla mascella e dalla presenza di una fronte corrugata. La distanza occhi-monitor diminuisce del 30%. Mi passo le mani fra i capelli. Scrivendolo e rileggendomi adesso in questo post, probabilmente è vero: sembro essere un po’ più teso di quello che dovrei essere.
I colleghi ne deducono che io sia preoccupato per la paura di inserire bug nel codice, che poi scatenano le “ire funeste” del mio capo-progetto. Non è così. Penso di reagire così perchè prendo il mio lavoro abbastanza seriamente: se tutto fila liscio come l’olio, allora trovo il tempo di parlare, ridere e scherzare. Ma se qualcosa mi mette i bastoni tra le ruote, allora divento un po’ più serio, e non riesco a tornare me stesso fino a quando non considero il problema risolto. Correggere un bug non significa solamente cancellare o modificare le linee di codice che lo generano: significa anche pensare a tutte le implicazioni che la nuova versione comporta. Per pensare a tutte queste implicazioni, ho bisogno di un po’ più di concentrazione, il che mi porta ad essere un po’ più introverso, isolandomi al punto che spesso non ascolto nemmeno più le conversazioni attorno a me. Nemmeno quando riguardano me, e nemmeno quando mi chiamano o mi interpellano.
Cadere in quello stato – insomma – non significa paura o timore sconsiderato: significa cercare di dare il massimo e prestare attenzione a tutto quello che posso. Significa rispetto verso il proprio lavoro, verso se stessi e verso tutti i colleghi con lavorano con te e che magari – a causa di un tuo errore – perderanno a loro volta un po’ di prezioso tempo.
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