Technology Experience

My daily work

Il mio lavoro quotidiano, il traffico, la metropolitana, le tangenziali, i rapporti con i colleghi, lo stress, il divertimento, la routine

My daily work

La differenza tra dato che serve, ed uno stupido storage

Qualche anno fa un certo non-mi-ricordo-chi disse:”Cavolo, chi nascerà fra 2.000 anni sarà molto sfortunato di noi”. Perchè, gli chiesi. Risposta:”Perchè a scuola avrà 2.000 anni di storia in più da studiare!”.

E’ una semplice battuta, però fa pensare, ed io ho girato questo ragionamento sui dati e tutte le informazioni che girano negli hard-disk che abbiamo dentro i nostri PC. E’ inevitabile che con il passare dei mesi e degli anni la quantità di informazioni cresca gradualmente, è una semplice legge della natura.

  • Scaricate illegalmente o comprate musica su iTunes?
  • Scrivete documenti Word, producete slides in Powerpoint?
  • Scattate fotografie? Se sì, quanti gigabytes all’anno?
  • Fate slideshow video delle vostre fotografie, producendo video o altro materiale multimediale?
  • Siete developer, scrivete software, gestite database con SQL Server?
  • Quante mail ricevete ogni giorno in Microsoft Outlook?

Insomma, tutte le informazioni elencate nei punti precedenti devono essere memorizzate da qualche parte, magari addirittura backuppate. E qui casca l’asino. Secondo me, al giorno d’oggi è fondamentale capire quali informazioni avete davvero bisogno tutti i giorni pronte all’uso, e quali invece potete permettervi di masterizzare definitivamente, o di copiare su un hard-disk, per farlo diventare storage, da mettere in un cassetto perchè “non si sa mai”.

Tutto questo nasce dalla frase che ho messo in Facebook l’altro giorno, che più o meno diceva:”Un hard-disk da 160Gb di dati è più che sufficiente per qualsiasi esigenza”. Queste frase evidenzia tre punti:

  1. è una frase ovviamente provocatoria
  2. sono il solito stupidello 😉
  3. ne sono abbastanza convinto, con le dovute cautele

Sia chiaro: nella mia vita ho prodotto ben più di 160Gb di dati di ogni tipo (compresi post sui blog :-), però ad un certo punto qualcosa è diventato vecchio, antiquato, in disuso, e quindi l’ho semplicemente cancellato e probabilmente dimenticato. Ho una scatola di scarpe contenente CD/DVD pieni di backup dal 1999 ad oggi, ma che non uso nè guardo praticamente mai. Altrimenti, checcacchio, dovrei avere un disco da 4TBytes per tenermi tutto pronto.

Insomma, quello che volevo dire con quella frase su Facebook è che i dati effettivi che vi servono nel lavoro quotidiano probabilmente sono davvero pochi. Chiaro, se poi lavorate all’anagrafe, o con macchine virtuali, o avete esigenze particolari, allora le cose cambiano. Però – ripeto – penso che nella stragrande maggioranza dei casi sia (e debba essere) così.

Un amico su Facebook (un certo Diego Guidi), commentando quella frase, mi ha detto:”Un film rippato in FullHD occupa 15GBytes”. Ok, ma per me un film non è dato: è semplicemente un file da mettere in storage, tra l’altro ottenuto da un supporto DVD che comunque devo avere. E, ripeto, se avessi quantitativo industriali di mp3/avi/altro, li metterei su un NAS in RAID (cosa che effettivamente faccio, soprattutto con le foto), eviterei di farci backup ogni mese, di averli sul mio notebook, eccetera eccetera.

Credo che ciascuno di noi possa e debba farci un pensierino su questa cosa, perchè se vi tenete sul vostro HD materiali vecchio/obsoleto, è lì solo per occupare spazio, è lì solo per farvi allungare i tempi di backup, etc. etc. Eliminateli, backuppateli una volta per tutte, dimenticateli, lasciate spazio a bytes puliti e nuovi.

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Riassunto dei mesi precedenti

Quando l’altro giorno ho scritto che sarebbe ora di ricominciare a bloggare sul serio, non stavo scherzando. Ne ho tutte le intenzioni. Vedremo se il tempo mi darà ragione: ci vuole costanza, dedizione e la voglia di rimettersi in carreggiata. Vi ricordate quando un certo Simone Chiaretta mi dava del blogorroico? O magari quello degli OT del Venerdì? Ecco, quell’Igor – forse – sta tornando.

Ricominciamo quindi con il raccontarvi cosa mi è successo negli ultimi mesi.

Fino a giugno 2009 ero il solito bravo consulente che tutti i giorni andava e veniva a Milano per sviluppare applicazioni con PPC2003/WM5/WM6. Ho raccontato l’addio a quel posto di lavoro in questo mio post di giugno, appunto.

Ho lasciato quel posto di lavoro per cambiare ambiente, per cambiare tecnologie, per vedere mondi nuovi, per ricominciare daccapo da qualche altra parte. Sempre da consulente, quindi, mi sono gettato in un’avventura con la stessa società di consulenza dove lavora mio fratello. Mi era stato proposto a metà giugno 2009 un bel progetto con ASP.Net (ebbene sì), .NET Framework 3.5, un bell’ambiente dove lavorare. Insomma, mi era sembrata una buona occasione per ripartire e per vedere se davvero ASP.Net è odioso oppure no: voi sapete come la penso, ma non sono talebano fino a questo punto. Ma questo progetto è naufragato in meno di 48 ore per motivi “politici”. E’ troppo assurdo cercare di spiegarvi in due parole quello che è successo, perciò lo eviterò.

La società di consulenza quindi mi ha assegnato ad un cliente a Cernusco sul Naviglio: a lavorare con Excel 2003 e Visual Basic Scripting, allo scopo di creare tabelle pivot. Uno dei periodi più…brutti…lavorativamente parlando: teso come non mai, a fare un lavoro che non ero in grado di padroneggiare completamente, ho fatto le due del mattino per rispettare i tempi, e per evitare ritardi anche causati da altri. Ma a fine luglio quel progetto, nel bene e nel male, si è concluso.

A fine luglio me ne sono andato in ferie. E nelle tre settimane di ferie mi son passati per la testa un miliardo di pensieri diversi sul nostro lavoro. Quanto ti dà, ma quanto ti toglie. Quanto ti dà soddisfazioni nei momenti giusti, ma allo stesso tempo ti fa tirare pugni alle pareti quando le cose non girano. Quanto ci si sbatte per gli altri, e quanto gli altri invece poco ti danno. E sono diventato un po’ più pessimista. Ho pensato di cambiare davvero. E mi sono ripromesso che, se avessi continuato a fare lo stesso lavoro (che in fondo amo), qualcosa sarebbe cambiato.

Lo sanno bene mio fratello ed il mio amico Fabio, con i quali condividevo i viaggi in auto. E’ davvero assurdo svegliarsi alle 6:30 del mattino solo per essere in ufficio alle 9. E stessa cosa al ritorno: uscire alle 18 con il sole alto in cielo, ed arrivare a casa solo un’ora e mezza dopo, un po’ più stressati dal viaggio. Questa è una cosa che avrei eliminato con tutte le mie forza.

Quando a fine agosto sono tornato nella mia Lombardia, ho subito avvisato la società di consulenza che non avrei voluto continuare a lavorare per loro. Non hanno battuto ciglio, dal momento che comunque sia non avevano alcun lavoro a cui assegnarmi. Quindi, un po’ come si fa nelle storie d’amore, ci siamo presi una pausa di riflessione. Io comunque qualche lavoro ce l’avevo (ce l’ho tuttora), perciò sono riuscito a ritrovare un po’ l’equilibrio perduto, una tranquillità interiore, che mi ha aiutato a mettere a fuoco le cose. E capire davvero cosa voglio.

Poi, è arrivata la svolta. E questa è storia recente. Ho avuto una piacevole conversazione con due carini amici di UGIdotNET, che mi hanno fatto una proposta lavorativamente interessante. Si tratta di un progetto che utilizza WPF e WCF, di viaggiare ogni tanto, e soprattutto di evitare tutti i giorni viaggi di andata e ritorno chissà dove. Sì, perchè per il 90% del tempo lavoro da casa. Quindi ho deciso di accettare, e proprio in questi giorni sto entrando sto cercando di entrare nel vivo del progetto. Risparmio in stress, in benzina, in pause pranzo fuori. E alle 8 del mattino sono davanti al PC, rilassato e pronto a cominciare la giornata.

Ecco come stanno le cose.
Tutto questo per dirvi che, quindi, non sono sparito, ma sono più vivo che mai.
E sono un po’ più tranquillo rispetto a qualche mese fa.
Vedremo nei prossimi mesi se tutti questi buoni propositi avranno i loro frutti oppure no.

Stay tuned!

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Arriva la bella stagione e mi muovo in bici

Ho già manifestato in passato la mia passione per Bikemi, ovvero il sistema di trasporto pubblico milanese basato sul noleggio di biciclette. Per adesso è solo una passione teorica, dal momento che non l’ho ancora sperimentata. Alcuni dei miei colleghi invece sono scettici, per diversi motivi: chi dice che le automobili sono ovviamente pericolose, chi ha scarsa fiducia nel senso civico dei cittadini, chi dice che le biciclette spariranno presto, etc. etc. Ho tenuto in considerazione tutte queste opinioni, che effettivamente hanno la loro ragion d’essere. Ma siccome per esprimere un’opinione è giusto sapere esattamente quello di cui si sta parlando, ecco che questa mattina ho attivato il mio abbonamento. Di Bikemi avevo parlato qualche mese fa, quando però – almeno dal mio punto di vista – le cose erano un po’ più nebulose.

Ecco quindi un elenco delle cose che dovreste sapere se anche voi siete interessati:

  1. Statistiche ufficiali: 6.800 abbonamenti attivati, 40.000 biciclette prelevate (una media di 700 al giorno)
  2. L’abbonamento annuale costa 36 euro. Ci sono anche abbonamenti giornalieri e settimanali
  3. L’abbonamento viene richiesto tramite il sito Internet e si paga in anticipo con carta di credito. Entro 15 giorni (così dicono) vi arriva a casa la tessera, che poi va attivata presso un ATM Point, o sul sito, o per telefono
  4. L’abbonamento annuale NON è una flat. I 36 euro non vi permettono di prendere una bici e di tenervela per sempre: il tempo massimo di noleggio è pari a due ore. Se per tre volte sforate questo limite di due ore, la vostra utenza e l’abbonamento vengono sospesi
  5. Soltanto la prima mezz’ora è gratuita: dopo dovete pagare €.0,50 Euro ogni 30 minuti
  6. Se prendete una bicicletta e questa non risulta consegnata entro le 24 ore successive (cosa assurda) ATM si prende €.150,00 Euro dalla vostra carta di credito

L’unica perplessità che ho sempre avuto è…come cavolo si fa a lanciare un’iniziativa del genere a Dicembre, quando Milano è invasa dalla nebbia, dal freddo e dalla neve. Ma ormai anche questa è acqua passata.

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[Consulente, cronache] Problemi di mobilità

Tutte le mattine mi tocca affrontare l’ultimo tratto di A1 (Lodi-Melegnano), un lungo tratto di tangenziale Ovest (Melegnano-Assago) ed un ultimo pezzo di A7 (Assago-Famagosta), per cercare di raggiungere il parcheggio multipiano di Famagosta, da dove poi è possibile prendere la metropolitana M2, linea verde. Non sono un consulente che giro il mondo: ho un cliente e ho assunto quindi un modus-operandi efficiente e pulito.

Questo viaggio è in certi momenti piuttosto pericoloso: frenate improvvise, spostamenti di corsia scellerati, TIR in sorpasso, automobili che si immettono senza dare un minimo di precedenza, automobili che escono tagliando la strada, autoambulanze a sirene spiegate, furgoni blindati della polizia penitenziaria, nebbia, pioggia & neve. E’ circa dal 2001 che faccio questo tragitto, anche se – per dir la verità – in certi periodi esso ha subìto cambiamenti più o meno drastici. Nonostante questi pericoli, ai quali si può ovviare con un po’ di attenzione e di svegliezza al volante, alla fine ho raggiunto una conclusione: il fastidio ed il pericolo più grande è la completa incapacità di stimare con una certa accuratezza i tempi di percorrenza.

Così capita che un viaggio che di solito occupa 40-45 minuti, possa un giorno occupare 2 ore, o anche più. E senza spiegazione. E senza che i tabelloni luminosi siano in qualche modo d’aiuto. E così capita che un normale appuntamento alle 9:45 – orario normalmente accettabile – diventi motivo di ansia e di stress. E così può capitare di dover parcheggiare l’auto al piano superiore rispetto al solito perchè – e non ho mai capito perchè – se tu sei bloccato in coda, tutti gli altri arrivano comunque, in orario ed in ufficio. Come se tu arrivassi da un altro punto del pianeta. Forse è vero: ovunque io abbia lavorato negli anni passati, sono sempre stato l’unico ad arrivare da sud Milano. Pazienza.

La cosa ancora più interessante è quando poi si arriva in ufficio. Curioso, vado sul sito www.autostrade.it, nel tentativo di capire il motivo per cui sono arrivato in ufficio alle 10:20 invece delle 9:00. Seleziono la porzione d’Italia giusta, e sul sito mi appare una cartina che per cortesia ho riportato qui sopra. La ‘X’ non indica il punto dove scavare (cit.): indica Famagosta, il parcheggio di cui parlavo prima. La prima freccia (in basso a destra) indica la A1. L’altra freccia indica la tangenziale ovest. Il colore verde sulla A1 indica ‘tutto ok’: cosa verissima. Il colore ciano/azzurrino sulla ovest indica ‘dati non disponibili’. Uao, meraviglioso, utile. E nessun’altra pagina su www.autostrade.it spiega esattamente cosa sia successo.

Che bella la vita del consulente, costretto a combattere contro nemici invisibili. E costretti ad essere di cattivo umore.

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[Consulente, cronache] Energie svuotate

Ho passato gli ultimi tre giorni della settimana scorsa a Rovereto (TN), in missione speciale per conto della società per la quale lavoro. Tre giorni passati con altri tre miei ‘colleghi’ a presentare e a dimostrare l’affidabilità (?) del sistema che abbiamo prodotto, io e tanti altri. Mi sono divertito: sono state giornate pesanti e stressanti, ma anche molto soddisfacenti per il cliente. E di riflesso per me.

Voglio fare un discorso lungo da fare, cercherò di essere breve, ma dubito di riuscirci come vorrei. Ci proviamo (*).

Mio padre, quando non era ancora in pensione come oggi, lavorava come falegname in proprio. Era in società con uno dei miei zii. Avevamo un grosso laboratorio, costruivamo cucine/salotti/camere da letto/mansarde/armadi e facevamo traslochi dappertutto. Per alcuni anni ho lavorato con loro, sia da ragazzino (durante le ferie estive al termine della scuola), sia un po’ più da grandicello, prima che trovassi lavoro. Ho sempre avuto l’impressione che mio padre e mio zio avessero due stili di lavoro diversi: il primo stava soprattutto in sede, il secondo era quello che se ne andava in giro a consegnare direttamente dal cliente.

Credo di aver ereditato da mio padre questo approccio: preferisco un lavoro con un posto dove sentirmi a casa e a mio agio. Preferisco esser parte di quella specie di ‘routine’ che mi fa svegliare ogni mattina con il cervello spento, sapendo che dovrò andare in un posto amichevole. Ho bisogno di quella tranquillità mentale che poi inevitabilmente mi fa lavorare anche meglio e mi fa essere più affidabile verso tutti coloro che lavorano con me. Il che per me è essenziale.

Viceversa, se ogni settimana mi dovessi svegliare per andare in un posto diverso, probabilmente dopo un po’ impazzirei e mollerei il colpo. Sono un ragazzo frenetico, che si preoccupa molto e che prende molto a cuore il proprio lavoro, e non credo di essere in grado di gestire da vicino più di un progetto contemporaneamente. E, parlando seriamente, sento che potrebbe andarci di mezzo anche la mia salute, perchè mi sento appiccicato addosso stati d’ansia che non vivevo da un po’.

Credo che tutti questi discorsi non vadano molto d’accordo con il mio stato di consulente esterno. Ma così è, e non credo di poterci fare molto. Quando sono tornato dalle ferie, mi sentivo pieno di energie; energie che volevo investire in diverse attività, volevo allargare i miei orizzonti e fare esperienze in altri rami dell’informatica. Ma oggi tutte queste energie sono andate a farsi benedire.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi, che tipo di ‘consulenti’ siete.

Siete di quelli che se ne vanno sempre in giro, che ogni giorno hanno a che fare con clienti diversi, oppure siete il classico tipo che si affeziona ad un progetto, che non potrebbe fare a meno dei soliti colleghi? Imparete a memoria i tempi di percorrenza del tratto autostradale ValTidone-Lorenteggio oppure Lodi-Melegnano, oppure bazzicate tra aeroporti/filobus/taxi?

(*) : ‘Non esiste provare. Esiste solo fare.” (cit.)

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[Consulente, cronache] Un viaggio verso Milano che poteva anche essere normale

Circa una settimana fa sono rientrato in contatto con un mio vecchio compagno delle superiori, tale Claudio B., che su Facebook mi ha detto di fare il mio stesso lavoro ma in Toscana. “Guadagnerò meno di te” – mi ha detto – “ma sicuramente vivo meglio”. Nemmeno lui sa quanto questa cosa sia vera.

Ieri raggiungere Milano è stato davvero un incubo. Sono partito alle 8:00 da casa e ho raggiunto il mio ufficio alle 10:30 circa. Due ore e trenta minuti di viaggio, contro l’oretta scarsa in un normale giornata lavorativa.

Non so identificare il motivo esatto. Probabilmente, a causa di un fantomatico sciopero ATM, tutti i pendolari hanno preso la loro auto. Risultato, tutte le strade si sono intasate oltre ogni limite. Oppure, il concerto dei Coldplay al Datchforum ha richiamato un po’ troppe persone a Milano.

Il traffico ha colpito dappertutto: dal casello di Melegnano, passando dall’imbocco della tangenziale Ovest fino all’uscita di Famagosta, a poca distanza del già citato Datchforum.

Dovevo essere in ufficio prestissimo per completare dei test, dai quali dipendeva l’esito di due riunioni di questa mattina e di questo pomeriggio. Test che sono parzialmente falliti, che mi hanno fatto andare in bestia e che mi hanno letteralmente rovinato la giornata. Chi lavora nei piccoli centri, o a pochi chilometri da casa, chi non ha a che fare con mezzi di trasporto pubblici, queste cose se le scorda.

Accuso molto questi fatti, perchè poi arrivo tardi al lavoro, arrivo già stressato, mi perdo il caffè mattutino con colleghi & colleghe. Insomma, le giornate inizia indubbiamente nel peggiore dei modi.

E siccome dopo un po’ sono andato veramente fuori di testa, ho scattato qualche fotografia per documentare l’incubo.
Chiaramente su Flickr.

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[Consulente, cronache] Reazioni emotive causa bug

Non so se sono io ad avere uno strano comportamento mentre sto lavorando, o se sono i colleghi che fraintendono il mio tipico atteggiamento. Allora, lo scenario è più o meno questo. Sto lavorando sul codice di un software che è già in produzione da mesi, ma che richiede ogni tanto qualche piccolo bug-fixing, o nuovi sviluppi per far fronte alle customizzazioni o alle richieste del cliente.

Quando si scopre un bug, piombo in uno stato che agli occhi degli altri sembra essere di estrema preoccupazione, ansia, o probabilmente una certa agitazione per un’apparente incapacità di risolvere il problema. Questo atteggiamento è indipendente dalla gravità del bug stesso.
In che stato cado, vi starete chiedendo?
Beh, esso è caratterizzato da un insolito silenzio, rotto occasionalmente da una voce molto più bassa del solito, da un continuo massaggio alla mascella e dalla presenza di una fronte corrugata. La distanza occhi-monitor diminuisce del 30%. Mi passo le mani fra i capelli. Scrivendolo e rileggendomi adesso in questo post, probabilmente è vero: sembro essere un po’ più teso di quello che dovrei essere.

I colleghi ne deducono che io sia preoccupato per la paura di inserire bug nel codice, che poi scatenano le “ire funeste” del mio capo-progetto. Non è così. Penso di reagire così perchè prendo il mio lavoro abbastanza seriamente: se tutto fila liscio come l’olio, allora trovo il tempo di parlare, ridere e scherzare. Ma se qualcosa mi mette i bastoni tra le ruote, allora divento un po’ più serio, e non riesco a tornare me stesso fino a quando non considero il problema risolto. Correggere un bug non significa solamente cancellare o modificare le linee di codice che lo generano: significa anche pensare a tutte le implicazioni che la nuova versione comporta. Per pensare a tutte queste implicazioni, ho bisogno di un po’ più di concentrazione, il che mi porta ad essere un po’ più introverso, isolandomi al punto che spesso non ascolto nemmeno più le conversazioni attorno a me. Nemmeno quando riguardano me, e nemmeno quando mi chiamano o mi interpellano.

Cadere in quello stato – insomma – non significa paura o timore sconsiderato: significa cercare di dare il massimo e prestare attenzione a tutto quello che posso. Significa rispetto verso il proprio lavoro, verso se stessi e verso tutti i colleghi con lavorano con te e che magari – a causa di un tuo errore – perderanno a loro volta un po’ di prezioso tempo.

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